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Notizia del 04/04/2015
Avete appena cucinato degli spaghetti aglio, olio e peperoncino. Tanto peperoncino. Forse troppo. Alla prima forchettata vi si infiamma la bocca. Bevete immediatamente un bicchiere d’acqua ma la sensazione di bruciore addirittura peggiora. Sappiate che è tutta colpa della capsaicina, una sostanza chimica della famiglia degli alcaloidi, e di sostanze simili chiamate capsaicinoidi contenute nel peperoncino.
I peperoncini hanno origine in Bolivia e in alcune parti del Brasile. Da lì vengono propagati in tutte le Americhe dagli uccelli, immuni all’azione della capsaicina. Gli Atzechi furono i primi ad incorporare il peperoncino nel loro cibo e nei loro rituali religioni, e sono documentate coltivazioni di questa pianta già nel 5500 a.C. Dal nuovo continente il peperoncino giunge in Europa con Cristoforo Colombo, e in seguito viene diffuso in Africa e in Asia, dove in alcuni paesi è ormai parte della tradizione culinaria locale, come successo anche in molte regioni del Sud d’Italia.
Nel 1912 il chimico Wilbur Scoville decise di istituire una scala empirica di “bruciore” causato dalla capsaicina chiamando un gruppo di assaggiatori di peperoncino e sottoponendogli un estratto della sostanza a diverse diluizioni. Scoville fissò arbitrariamente la capsaicina pura a 16 milioni di “gradi Scoville”,che indicano il rapporto di diluizione necessario a far perdere piccantezza al peperoncino analizzato.
Il peperone normale è in fondo alla scala, con 0 gradi. Un Jalapeño è solitamente attorno ai 3000 gradi Scoville, mentre il terribile Habanero può superare i 300.000 e si dice venga addirittura raccolto con i guanti.
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